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Di Anna Di Girolamo

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Qualche giorno fa ero in aula, con un gruppo di discenti particolarmente interattivo e ingaggiato, di quelli che ti fanno sentire proprio felice di fare questo lavoro.

Il tema era la motivazione e sono venute fuori delle osservazioni molto interessanti rispetto alla costruzione del team e a come ingaggiare i junior e i senior in una collaborazione maggiormente produttiva e stimolante; i presenti in aula – tutti senior – facevano notare che i junior, attualmente presenti in azienda, non pensano in alcun modo a votare la propria vita al lavoro e riportavano come le cose fossero profondamente cambiante rispetto a dieci-quindici anni fa.

Le osservazioni erano tutt’altro che negative, anzi i senior ammettevano, con molta onestà intellettuale, di avere molto da imparare dai loro colleghi più giovani rispetto al concetto di life-work balance e che avere una vita in sereno equilibrio ci rende non solo più felici ma anche più produttivi sul lavoro.

Finché non è stata messa sul tavolo una domanda: “Se pensiamo ai nostri ragazzi in senso lato, quindi ai nostri stageur in azienda, ai nostri studenti, ai nostri figli, siamo così sicuri che sia giusto non insegnare loro il senso del sacrificio? Sacrificarsi per ottenere qualcosa di più grande, di più importante, di più soddisfacente. Non dovremmo forse insegnare loro che il sacrificio è la strada per raggiungere obiettivi ambiziosi?”.

Credo che questa idea del sacrificio abbia molto a che fare con la cultura cattolica, ma lo dico da agnostica e quindi con un filtro all’ingresso piuttosto ingombrante, per cui lascio la considerazione sul tavolo come spunto di riflessioni future.

La domanda, a mio avviso, è sensatissima. E la risposta – netta – è NO. Non dobbiamo.

Il sacrificio è la cosa più anti-Agile che possiamo immaginare perché è la negazione della sostenibilità, e non serve un’Agile Transformation per capire che se insegniamo il valore del sacrificio stiamo implicitamente normalizzando la sopportazione di lavori che non ci piacciono, relazioni organizzative insoddisfacenti (quando non addirittura tossiche), nottate per consegnare i progetti in tempo ed e-mail a cui rispondiamo di domenica perché vedessi mai che il capo pensi che “c’ho ‘na vita”.

Pertanto, non dobbiamo in alcuno modo insegnare il senso del sacrificio: ne’ a casa, ne’ a scuola, ne’ tantomeno al lavoro.

Dobbiamo invece allenarci a sostituire la parola sacrificio con la parola impegno.

L’impegno implica attenzione, determinazione, dedizione, ostinazione persino. L’impegno, che prendo verso me stesso e nei confronti della mia squadra, è il carburante che alimenta l’autonomia diffusa e la responsabilità condivisa, è il patto di partnership che costruisco con il cliente, è la pienezza che conferisco alle mie giornate, in una logica di sostenibilità e appagamento sia nel lungo che nel breve periodo.

Impegnarsi è gratificante, è uno degli ingredienti del flow e nutre la motivazione intrinseca.

Non mi stancherò mai di raccontare l’importanza delle parole e del loro impatto sul nostro mindset. Per cambiare il modo di lavorare dobbiamo cambiare il modo di pensare e per cambiare il modo di pensare dobbiamo costruire un nuovo codice di comunicazione che ci aiuti a disegnare, nella testa prima e in azienda poi, uno scenario diverso.

Se volete team motivati, smettete di chiedere sacrifici per la causa e iniziate a dare loro motivazioni per impegnarsi nella costruzione di un progetto condiviso.

Di Marco Passarella

 

Da anni sentivo parlare di Agile, e mi aveva sempre incuriosito. Finalmente quest’anno, grazie a ContaminAction University, ho avuto la possibilità di conoscere da vicino questa metodologia di lavoro, frequentando il corso di Agile Made in Italy che mi ha preparato nel certificarmi come Scrum Master. Ho capito che Agile, prima che essere una metodologia è un modo di pensare. Più esploravo questo mindset insieme ad Alessandro Ingrosso, Riccardo Ciocci, Piero Mancino e Anna di Girolamo, più sentivo che molti dei concetti risuonavano profondamente dentro di me.

 

Dopo un po’ di tempo, in cui ho studiato, approfondito e riflettuto sui temi affrontati, mi sono fatto una mia idea sulle similitudini tra Agile e il Buddismo. Agile è figlio del pensiero Lean, e il pensiero Lean, che nasce in Giappone, ha un suo approccio culturale molto particolare, a volte difficile da capire per noi occidentali. Tuttavia il buddismo a cui faccio riferimento – il buddismo di Nichiren Daishonin, anch’esso sviluppato in Giappone – spiega con parole semplici il significato della vita e permette alle persone di diventare felici. È uno strumento molto potente per trasformare la propria vita e consente alle persone di esprimere il loro massimo potenziale per la creazione di valore per sé e per gli altri.

 

Educazione per la creazione di valore è l’espressione con cui Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944) definisce la sua proposta per un “nuovo sistema educativo”. Educatore, scrittore e filosofo giapponese, maestro e preside di scuola elementare, intendeva riformare il sistema educativo giapponese della sua epoca che, secondo lui, scoraggiava il pensiero indipendente e soffocava la creatività e la felicità degli studenti. All’età di cinquantasette anni, Makiguchi incontrò il Buddismo di Nichiren Daishonin, trovando in esso una profonda visione della vita, perfettamente in accordo con la sua teoria della creazione di valore.

 

Secondo Makiguchi la felicità consiste nel creare valore. Individuare i valori e gli scopi verso cui orientiamo la nostra vita è un’azione di fondamentale importanza. Analogamente, Agile consente di definire le priorità e orientare esattamente tutti gli sforzi nella direzione in cui è possibile sviluppare il massimo valore per il cliente. Così come le persone trasformano la propria vita con il buddismo, anche le imprese trasformano il proprio business con Agile. Entrambe le discipline mettono al centro il cambiamento, esaltando il potere trasformativo insito nell’uomo e fornendo strumenti pratici per sostenere il miglioramento continuo. Nel 1930, insieme al suo giovane collega Josei Toda,fondò la Soka Kyoiku Gakkai: Società educativa per la creazione di valore. A poco a poco si trasformò in un’organizzazione che diffondeva gli insegnamenti del Buddismo del Daishonin.

 

Oggi la Soka Gakkai conta più di dieci milioni di fedeli in Giappone, è presente in 192 Paesi del mondo e in Italia vi aderiscono circa 70.000 persone, circa la metà dei buddisti italiani.

 

Così come le persone trasformano la propria vita con il buddismo, anche le imprese trasformano il proprio business con Agile. Entrambe le discipline mettono al centro il cambiamento, esaltando il potere trasformativo insito nell’uomo e fornendo strumenti pratici per sostenere il miglioramento continuo.

 

Nei prossimi articoli ti mostrerò altre analogie tra Agile e la filosofia umanistica buddista, non solo dal punto di vista dei valori, ma anche nelle pratiche.

 

Chi possiede lo spirito di sfidarsi non conosce punti morti. Non è che camminiamo perché c’è la strada: in realtà poiché camminiamo, si costruisce la strada.” Daisaku Ikeda, Mappa della felicità, Esperia