Categoria: Testimonianze

Di Valentina Coradeghini

Se qualcuno mi avesse detto cosa avrebbe comportato diventare manager, non so se sarei stata disposta a farlo. Erano già diversi anni che lavoravo in azienda ed ero cresciuta come figura professionale fino ad un buon grado di seniority, come si dice appunto in gergo aziendale.

Avevo cambiato direzione e management e avevo avuto significative occasioni per mettermi in gioco e propormi su diversi progetti paralleli a quelli che solitamente seguivo.

Probabilmente in queste occasioni devo aver dimostrato qualcosa che andava oltre l’expertise tecnica, perché vuoi o non vuoi ho sempre dovuto lavorare con gli altri, in un team. A volte mi sono trovata naturalmente a guidare, a tirare le fila, a strutturare in qualche modo un pensiero collettivo e dei processi.

E così, sono iniziati alcuni discorsi su un mio futuro impegno nel coordinamento di alcuni team dell’area. Lì per lì ero davvero lusingata, perché mi sono resa conto che cambiare semplicemente management poteva ribaltare completamente la percezione della professionista che ero. Per la prima volta qualcuno scommetteva su di me un passaggio importante e non potevo che esserne infinitamente grata.

Poi però a queste forti emozioni di riconoscenza si sono affiancate quelle di una autentica fifa blu. Sarei stata in grado di affrontare una sfida così grande?

Non era la prima volta che mi trovavo a gestire un cambiamento importante.  

Quando aspettavo la nascita di mia figlia Rebecca, da brava secchiona, mi ero preparata leggendo diversi testi sulla natalità, neonati, tate professioniste, psicologi, pedagogisti e chi più ne ha e più ne metta. Ma quando sono passata dalla teoria alla pratica, di fronte ad una neonata di pochi giorni che piangeva ininterrottamente, senza riuscire a calmarla in nessun modo, il panico è stato evidente. Con mio marito ci chiedevamo: ”Ma dov’è il libretto di istruzioni?”

Ecco, se posso fare un parallelismo, quella stessa sensazione l’ho ritrovata nella mia promozione a manager.

Diventare manager comporta una serie di sfide che testano le tue capacità su più fronti. La gestione del tempo, delle persone e delle strategie richiede non solo di sviluppare velocemente nuove competenze, ma anche una profonda capacità di introspezione e adattamento. La gestione di un team, con tutte le sue dinamiche interpersonali, emerge come uno degli aspetti più complessi. Ogni decisione, ogni feedback, ogni momento di conflitto diventa un’opportunità di crescita.

Stiamo parlando di un cambiamento molto importante. Scritto adesso, con l’esperienza e la consapevolezza di quello che è stato questo percorso, rimango stupita dalla trasformazione che questo passaggio richieda. Si tratta di un percorso di crescita personale e professionale, ricco di sfide, emozioni intense e soprattutto apprendimenti.

Ecco quando devi avvitare una vite e hai a disposizione solo un martello è tosta.

Magari leggendo il libretto di istruzioni potresti apprendere che il martello non è lo strumento adatto ma serve un particolare cacciavite e come riuscire a procurartelo.

Mi sono resa conto che, senza gli strumenti adatti, il rischio di fare danni era concreto.

Così dopo un primo momento di confusione, ho iniziato a cercare attivamente quel cacciavite, di cui non conoscevo ancora le sembianze. L’ho composto grazie al supporto di tante voci: mentori, coach, corsi di formazione che mi hanno permesso di fare un salto di mindset. Da questo punto di svolta, tutto il resto si è messo in fila e ha lasciato spazio ad un flusso armonioso che si intersecava nella complessità dei progetti.

Penso che uno dei migliori “cacciaviti” che ho portato nel mio modo di intendere il lavoro e creare un ambiente sano e stimolante dove liberare il potenziale delle persone, sia stato il mio avvicinamento ai principi Agili. In quegli anni in azienda era nato da poco un nuovo software center che lavorava completamente in agile. Diversi team di sviluppo si sfidavano in un ambiente molto creativo e colorato a colpi di kanban, sprint, story point. Da loro, generosi nel raccontarsi ed aprire il loro mondo agli altri, ho appreso un nuovo modo di approcciare al team come manager, un nuovo modo in cui il team si considera responsabile e autonomo, un nuovo modo che utilizza lo scambio e feedback costruttivi e vuole migliorare continuamente.

Dopo qualche mese, la soddisfazione ha iniziato ad essere una nuova emozione che faceva capolino e che diventava sempre più frequente ed intensa. Quello che riuscivo a fare accadere con il team, come trovare nuovi modi di lavorare e ottenere risultati sempre più soddisfacenti, andava via via ad alimentare un circolo virtuoso in cui sia io che i miei colleghi ricevevamo una iniezione di energia e motivazione che ci spingeva a dare sempre qualcosa in più per il bene del contenuto prodotto per i nostri clienti. L’espressione della passione per il proprio lavoro era evidente.

Quando ho iniziato a vedere che gli ingranaggi giravano correttamente e in modo autonomo, ho avuto la netta percezione che il mio lavoro avesse raggiunto un grande traguardo.

E da lì ho capito una lezione molto importante: il manager gestisce le persone e i processi, rischiando una funzione controllante, mentre il leader agevola la creazione di un team autonomo, responsabile a cui dà fiducia e che vive armoniosamente in un sistema più complesso. Guidare un team verso una visione condivisa, ispirare e motivare, significa trasformare l’ambiente di lavoro in un luogo dove ogni persona può realizzarsi e contribuire al successo comune.

Questo passaggio da manager a leader ha definito meglio la direzione del mio percorso e il mio approccio alle relazioni professionali.

Diventare un leader non è solo un avanzamento di carriera; è un’avventura personale e professionale che trasforma profondamente chi siamo e come influenziamo il mondo intorno a noi. Se qualcuno mi avesse detto cosa avrebbe comportato e mi avesse rassicurato sul viaggio sfidante ma al tempo stesso meraviglioso, la paura avrebbe lasciato spazio all’entusiasmo. 

E tu a che punto sei?
Se ti trovi in un momento di trasformazione e vuoi approfondire come affrontare un cammino simile al mio e trovare il giusto supporto per le tue sfide professionali, lascia i tuoi contatti se vuoi ricevere dei consigli per il tuo percorso professionale.


    Di Sabrina Elisabetta Laterza

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    Saper facilitare un team agile è essenziale per chi aspira a ruoli come Scrum Master, Agile Coach o Project Manager. Se sei nuovo come Scrum Master e ti trovi ad affrontare una situazione urgente che richiede la tua guida, ma non hai mai facilitato prima, come puoi prepararti?

    Ciao sono Sabrina, Scrum Master in due Scrum Team di sviluppo software da circa un anno. Ho creato questa guida partendo dalle domande che mi sono posta preparando la mia prima facilitazione. Voglio condividerla con te per aiutarti a superare l’agitazione e il brivido iniziale.

    Questo articolo è il risultato di ricerca e sforzi per raggiungere il mio primo obiettivo come Scrum Master: “non fare disastri e aiutare il team a raggiungere da sé il valore di cui ha bisogno.”

    Ecco come ho creato la mia prima facilitazione Agile in 7 passi:

     

    1. Identifica e coinvolgi i partecipanti

    Identifica chi parteciperà. Conoscere il numero di partecipanti e i loro ruoli aiuterà nella preparazione. Pianifica coinvolgimenti specifici per assicurarti che tutti si sentano ingaggiati e ascoltati. Chi parteciperà alla facilitazione: solo i membri del team o anche stakeholder e manager?

    Le Domande da porsi ora sono: “Chi è coinvolto nel tema?”, “Ci sono ruoli specifici che dovrebbero partecipare attivamente?”, “Conosco già i partecipanti?”. “Cosa si aspettano dalla facilitazione?”.

    Queste domande ti saranno utili, inoltre, perché potrai capire se, durante la facilitazione:

    • dovrai dedicare più tempo al team building e al warm-up nel caso di “nuovi volti”
    • o se dovrai cominciare con una “safety-check” per verificare che gli interlocutori si sentano a loro agio nell’esprimere idee, riflessioni e preoccupazioni (sicurezza psicologica), nel caso in cui partecipino persone con diversi ruoli e in presenza di conflitti.

     

    1. Definisci l’obiettivo

    Alla base di qualsiasi facilitazione efficace c’è un obiettivo chiaro. Qui ti occorre sapere: “cosa vuole ottenere il tuo team da questa sessione?” Potrebbe essere un’azione specifica, una retrospettiva, ottenere una comprensione più profonda su un tema o risolvere un problema. Ad esempio, se stai iniziando un nuovo progetto, l’obiettivo potrebbe essere “Definire gli obiettivi chiave e le aspettative per il progetto”.

     

    1. Pianifica la struttura

    Decidi se la tua facilitazione sarà online o in presenza. Scegli un formato che si adatti ai tuoi obiettivi, come la “Focused Conversation” o la Facilitazione Visiva, e pianifica i passaggi chiave di conseguenza.

    Ad esempio, per analizzare un problema e far emergere le cause alla sua radice, nel caso della Focused Conversationpotresti utilizzare la tecnica dei 5 perché nel flusso della discussione, oppure potresti servirti di un elemento visivo come il “Fishbone Diagram” per la Facilitazione visiva.

    Le domande chiave che ti possono aiutare a pianificare la struttura sono: “se dovrò facilitare in presenza avrò a disposizione lo spazio necessario?”, “qual è il livello di dimestichezza dei partecipanti con i tool per le facilitazioni online, come miro o mural, per le riunioni online?” E di conseguenza capirai se includere un on-boarding o meno alla lavagna virtuale.

    Ora hai una quantità di informazioni utili per definire il tuo schema di facilitazione. A questo proposito, per farmi un’idea di come progettare i diversi momenti di una facilitazione ho trovato spunti davvero utilissimi in quest’articolo di Alessandro Ingrosso per AMI, pensato per Facilitatori che vogliono arrivare al livello Pro, e nel libro “Agile Retrospective: Making Good Teams Great” di Esther Derby, Diana Larsen, Ken Schwaber[1]:

     

    1. Prepara il materiale

    Raccogli il necessario per facilitare. Crea board online, presentazioni o lavagne fisiche. Pensa a template già pronti o tecniche già “rodate” da utilizzare per cominciare e man mano che ti senti più confidente sperimenta e crea. Puoi trovare un’infinità di idee su Retromat. Assembla ora tutto ciò di cui avrai bisogno: dalla tecnologia agli strumenti visivi in presenza.

     

    1. Crea un’agenda dettagliata

    Stabilisci il tempo e definisci l’agenda della sessione. Inviare via mail ai partecipanti un’anteprima dell’agenda per creare aspettative condivise è, da un lato, un atto di premura e gentilezza che fa la differenza e, dall’altro un grande risparmio di tempo che ti permetterà di saltare lunghe introduzioni. Pianifica il flusso della tua facilitazione in base all’obiettivo e ai tempi disponibili. Dettaglia ogni fase, inclusi i momenti di interazione e di pausa, questo ti permetterà di gestire al meglio il tuo tempo aiutando, così, i partecipanti ad ottenere il valore atteso entro il termine della riunione.

    Un esempio di agenda potrebbe essere:

    • “Introduzione e chiarimento dell’obiettivo (con warm-up o safty-check) – 10 minuti”,
    • “Raccolta dati e attività di brainstorming – 20 minuti”,
    • “Discussione e raccolta di feedback – 15 minuti”.

     

    1. Aggiungi creatività e divertimento

    Coinvolgere i partecipanti in un’esperienza ludica aiuta a mantenere alta l’energia e, inoltre, serve a creare un clima rilassato e di fiducia. Puoi sbizzarrirti introducendo un “icebreaker” per iniziare la sessione in modo leggero e positivo. Puoi servirti di tecniche e giochi, come quiz a tema o indovina la canzone.

    Ogni volta che incontro nuovi team, per esempio, mi piace utilizzare una sorta di ruota della fortuna[2] con domande random divertenti per poterci conoscere e cominciare a creare un ambiente familiare e rilassato. I feedback sono molto positivi e l’effetto è che i partecipanti si aprono più volentieri.

    Gamification, Storytelling e interattività sono le 3 chiavi fondamentali per organizzare facilitazioni memorabili. Permettono ai partecipanti di sviluppare il desiderio di scoprire, imparare, capire e migliorare senza sentirsi vincolati o annoiati.

    Riguardo alle Retrospective vincenti, Riccardo Ciocci, in un precedente articolo e in un webinar di Agile Made in Italy, fornisce ispirazioni e consigli utili.

     

    1. L’ingrediente “Segreto” – il PDCA

    Infine, proprio come Scrum insegna, segui il ciclo Plan, Do, Check, Act di W. E. Deming per migliorare continuamente le tue facilitazioni, ovvero:

    Pianifica la facilitazione, mettila in pratica, valuta cosa ha funzionato e cosa puoi migliorare e, di volta in volta, adatta le facilitazioni per le future sessioni.

    Questo processo continuo ti aiuterà a crescere costantemente e a migliorare velocemente come facilitatore.

     

    Questa guida non è l’unica via da seguire per creare facilitazioni e non intende essere una “lista della spesa” esaustiva, ma si tratta della condivisione di alcune delle pratiche che ho sperimentato in prima persona per mettere a terra la mia prima facilitazione agile.

    Per realizzarla ho consultato alcuni blog autorevoli di settore, ho fatto tante domande e chiesto pareri di diversi professionisti con una grande esperienza sulle spalle, partendo proprio dai colleghi di Agile Made in Italy. Ho partecipato, in prima persona come parte di un team in alcune sessioni di facilitazione messe a disposizione da colleghi internazionali su meetup ed ho preso un pizzico di coraggio proponendomi come facilitatore per alcune attività di Agile Made in Italy per poter imparare nel modo più efficace possibile: dall’esperienza, dai feedback e dagli “errori”.

    Ora hai un kit d’emergenza per creare la tua prima facilitazione agile! Con questi passaggi fondamentali spero tu possa avere le idee un po’ più chiare, sentirti sicuro e carico per creare la tua prima facilitazione per team agile. Pianifica, testa, implementa… ma soprattutto: divertiti e fammi sapere com’è andata! [3]

     

     

    [1] Puoi leggere qui un estratto da Google Books del libro “Agile Retrospective: Making Good Teams Great”.

    [2]  Ho creato un esempio di ”gira la ruota a tema Halloween”, lo trovi qui.

    [3] dammi pure i tuoi feedback qui.

    Di Anna Di Girolamo

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    Qualche giorno fa ero in aula, con un gruppo di discenti particolarmente interattivo e ingaggiato, di quelli che ti fanno sentire proprio felice di fare questo lavoro.

    Il tema era la motivazione e sono venute fuori delle osservazioni molto interessanti rispetto alla costruzione del team e a come ingaggiare i junior e i senior in una collaborazione maggiormente produttiva e stimolante; i presenti in aula – tutti senior – facevano notare che i junior, attualmente presenti in azienda, non pensano in alcun modo a votare la propria vita al lavoro e riportavano come le cose fossero profondamente cambiante rispetto a dieci-quindici anni fa.

    Le osservazioni erano tutt’altro che negative, anzi i senior ammettevano, con molta onestà intellettuale, di avere molto da imparare dai loro colleghi più giovani rispetto al concetto di life-work balance e che avere una vita in sereno equilibrio ci rende non solo più felici ma anche più produttivi sul lavoro.

    Finché non è stata messa sul tavolo una domanda: “Se pensiamo ai nostri ragazzi in senso lato, quindi ai nostri stageur in azienda, ai nostri studenti, ai nostri figli, siamo così sicuri che sia giusto non insegnare loro il senso del sacrificio? Sacrificarsi per ottenere qualcosa di più grande, di più importante, di più soddisfacente. Non dovremmo forse insegnare loro che il sacrificio è la strada per raggiungere obiettivi ambiziosi?”.

    Credo che questa idea del sacrificio abbia molto a che fare con la cultura cattolica, ma lo dico da agnostica e quindi con un filtro all’ingresso piuttosto ingombrante, per cui lascio la considerazione sul tavolo come spunto di riflessioni future.

    La domanda, a mio avviso, è sensatissima. E la risposta – netta – è NO. Non dobbiamo.

    Il sacrificio è la cosa più anti-Agile che possiamo immaginare perché è la negazione della sostenibilità, e non serve un’Agile Transformation per capire che se insegniamo il valore del sacrificio stiamo implicitamente normalizzando la sopportazione di lavori che non ci piacciono, relazioni organizzative insoddisfacenti (quando non addirittura tossiche), nottate per consegnare i progetti in tempo ed e-mail a cui rispondiamo di domenica perché vedessi mai che il capo pensi che “c’ho ‘na vita”.

    Pertanto, non dobbiamo in alcuno modo insegnare il senso del sacrificio: ne’ a casa, ne’ a scuola, ne’ tantomeno al lavoro.

    Dobbiamo invece allenarci a sostituire la parola sacrificio con la parola impegno.

    L’impegno implica attenzione, determinazione, dedizione, ostinazione persino. L’impegno, che prendo verso me stesso e nei confronti della mia squadra, è il carburante che alimenta l’autonomia diffusa e la responsabilità condivisa, è il patto di partnership che costruisco con il cliente, è la pienezza che conferisco alle mie giornate, in una logica di sostenibilità e appagamento sia nel lungo che nel breve periodo.

    Impegnarsi è gratificante, è uno degli ingredienti del flow e nutre la motivazione intrinseca.

    Non mi stancherò mai di raccontare l’importanza delle parole e del loro impatto sul nostro mindset. Per cambiare il modo di lavorare dobbiamo cambiare il modo di pensare e per cambiare il modo di pensare dobbiamo costruire un nuovo codice di comunicazione che ci aiuti a disegnare, nella testa prima e in azienda poi, uno scenario diverso.

    Se volete team motivati, smettete di chiedere sacrifici per la causa e iniziate a dare loro motivazioni per impegnarsi nella costruzione di un progetto condiviso.

    Di Marco Passarella

     

    Da anni sentivo parlare di Agile, e mi aveva sempre incuriosito. Finalmente quest’anno, grazie a ContaminAction University, ho avuto la possibilità di conoscere da vicino questa metodologia di lavoro, frequentando il corso di Agile Made in Italy che mi ha preparato nel certificarmi come Scrum Master. Ho capito che Agile, prima che essere una metodologia è un modo di pensare. Più esploravo questo mindset insieme ad Alessandro Ingrosso, Riccardo Ciocci, Piero Mancino e Anna di Girolamo, più sentivo che molti dei concetti risuonavano profondamente dentro di me.

     

    Dopo un po’ di tempo, in cui ho studiato, approfondito e riflettuto sui temi affrontati, mi sono fatto una mia idea sulle similitudini tra Agile e il Buddismo. Agile è figlio del pensiero Lean, e il pensiero Lean, che nasce in Giappone, ha un suo approccio culturale molto particolare, a volte difficile da capire per noi occidentali. Tuttavia il buddismo a cui faccio riferimento – il buddismo di Nichiren Daishonin, anch’esso sviluppato in Giappone – spiega con parole semplici il significato della vita e permette alle persone di diventare felici. È uno strumento molto potente per trasformare la propria vita e consente alle persone di esprimere il loro massimo potenziale per la creazione di valore per sé e per gli altri.

     

    Educazione per la creazione di valore è l’espressione con cui Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944) definisce la sua proposta per un “nuovo sistema educativo”. Educatore, scrittore e filosofo giapponese, maestro e preside di scuola elementare, intendeva riformare il sistema educativo giapponese della sua epoca che, secondo lui, scoraggiava il pensiero indipendente e soffocava la creatività e la felicità degli studenti. All’età di cinquantasette anni, Makiguchi incontrò il Buddismo di Nichiren Daishonin, trovando in esso una profonda visione della vita, perfettamente in accordo con la sua teoria della creazione di valore.

     

    Secondo Makiguchi la felicità consiste nel creare valore. Individuare i valori e gli scopi verso cui orientiamo la nostra vita è un’azione di fondamentale importanza. Analogamente, Agile consente di definire le priorità e orientare esattamente tutti gli sforzi nella direzione in cui è possibile sviluppare il massimo valore per il cliente. Così come le persone trasformano la propria vita con il buddismo, anche le imprese trasformano il proprio business con Agile. Entrambe le discipline mettono al centro il cambiamento, esaltando il potere trasformativo insito nell’uomo e fornendo strumenti pratici per sostenere il miglioramento continuo. Nel 1930, insieme al suo giovane collega Josei Toda,fondò la Soka Kyoiku Gakkai: Società educativa per la creazione di valore. A poco a poco si trasformò in un’organizzazione che diffondeva gli insegnamenti del Buddismo del Daishonin.

     

    Oggi la Soka Gakkai conta più di dieci milioni di fedeli in Giappone, è presente in 192 Paesi del mondo e in Italia vi aderiscono circa 70.000 persone, circa la metà dei buddisti italiani.

     

    Così come le persone trasformano la propria vita con il buddismo, anche le imprese trasformano il proprio business con Agile. Entrambe le discipline mettono al centro il cambiamento, esaltando il potere trasformativo insito nell’uomo e fornendo strumenti pratici per sostenere il miglioramento continuo.

     

    Nei prossimi articoli ti mostrerò altre analogie tra Agile e la filosofia umanistica buddista, non solo dal punto di vista dei valori, ma anche nelle pratiche.

     

    Chi possiede lo spirito di sfidarsi non conosce punti morti. Non è che camminiamo perché c’è la strada: in realtà poiché camminiamo, si costruisce la strada.” Daisaku Ikeda, Mappa della felicità, Esperia

    Torna la nostra rubrica con alcuni suggerimenti e trucchi per sostenere la preparazione e l’esame per la Certificazione PMP. Questa volta a darci alcuni consigli è Luca Fava, che, dopo aver seguito il nostro corso, ha superato con successo l’esame lo scorso 5 giugno 2022.

     

    Quanto tempo hai studiato prima di sostenere l’esame per la Certificazione PMP?

    Ho cominciato il corso a Novembre 2021 e sostenuto l’esame il 5 Giugno 2022

     

    Come hai svolto la tua preparazione tra corso e studio personale?

    Ho completato la preparazione del corso approfondendo le slide trattate durante le lezioni, esercitandomi con le domande di autoverifica e studiando il PMBOK

     

    Quanto è importante frequentare il corso?

    Lo considero molto utile perché rappresenta un’occasione di confronto che aiuta il candidato ad entrare nelle logiche del PMI attraverso il ragionamento ed i lavori di gruppo. Oltretutto è un’occasione di arricchimento per condividere esperienze e best practice con gli altri partecipanti.

     

    Hai studiato individualmente o in gruppo?

    Al di fuori del corso ho studiato individualmente

     

    Come hai studiato sul PMBOK? Quali sezioni hai trovato più utili?

    Ho letto il PMBOK sia nella versione 6 che la 7 e la Guida Agile provando a schematizzare le informazioni principali. La versione 6 è molto utile per avere una vista esaustiva dei processi delle varie Knowledge Area e degli elementi che li caratterizzano, mentre la versione 7 è più discorsiva e focalizzata sull’approccio.

     

    Hai ampliato la preparazione con altre letture?

    No.

     

    Quanto è stato utile l’utilizzo del simulatore? Come funziona e quali sono le domande?

    Indispensabile. Sia per evidenziare le aree che necessitano di ulteriori approfondimenti che per allenarsi rispetto alle tempistiche di esame.

     

    Ti sei esercitato in qualche altro modo?

    Con altri simulatori che ho trovato online.

     

    Dopo quanto tempo, hai deciso di prenotare l’esame?

    Ho prenotato l’esame ad Aprile.

     

    Com’è andato l’esame e come si svolge? Hai avuto difficoltà con l’inglese?

    Per chi come me lo svolge da remoto è importante non avere nulla sulla scrivania al di fuori dell’acqua e posizionarsi nell’ambiente più silenzioso possibile: anche un rumore esterno può generare interruzioni e richieste di verifica da parte degli addetti al controllo, che inevitabilmente comportano perdite di tempo. Dopo il check-in l’esame si compone di 3 blocchi di 60 domande al termine di ciascuno dei quali è possibile fare una pausa di max 10 min. (extra rispetto ai 230 min.). Prima della pausa puoi rivedere le 60 domande dopodiché non è più possibile. L’inglese mi è sembrato facilmente comprensibile ma può incidere sui tempi di risposta alle domande, quindi ho preferito svolgerlo in italiano per essere più rapido, limitando il check in lingua inglese ai casi veramente necessari.

     

    Riassumendo, quali consigli indispensabili daresti a chi deve affrontare l’esame per la Certificazione PMP?

    – Preparati al corso con Alessandro e Piero!

    – Pianifica lo studio individuale prevedendo da subito dei check intermedi di autoverifica.

    – Completato il programma fai challenge su contenuti e tempi di risposta con delle sessioni di simulazione, magari a lotti di domande di numerosità crescente, e rivedi le domande sbagliate per capire quali aree di conoscenza vanno migliorate.

    – Never give up! A causa di diverse interruzioni durante i primi due slot di domande e di alcune risposte che hanno richiesto qualche ragionamento in più del previsto, mi sono ritrovato all’ultimo slot con soli 55 min. a disposizione (rispetto ai circa 76 min in media). Ho continuato ugualmente provando ad accelerare con l’obiettivo di non lasciare nessuna domanda senza risposta…risultato: Above the Target in tutti i domini.

    Quali possono essere i consigli e i trucchi per la Certificazione PMP? Ce lo raccontano Adelaide Germani e Carlo Conti che hanno conseguito la Certificazione tra febbraio e marzo 2022 dopo aver frequentato il nostro corso.

     

    ADELAIDE

     

    Quanto tempo hai studiato prima di sostenere l’esame per la Certificazione?

    Ho cominciato a studiare in maniera strutturata ad inizio gennaio per poter sostenere l’esame il 26 febbraio. Tuttavia, durante il corso, ho cercato di approfondire i temi via via trattati leggendo il pmbok 6 e le slide fornite con il corso.

     

    Come hai svolto la tua preparazione tra corso e studio personale?

    Ho cercato di legare le slide e i temi trattati durante e di collocarli in uno schema teorico che ho costruito mentalmente sin dall’inizio del percorso. Quindi ho seguito i suggerimenti dei trainer, leggendo dapprima tutto il pmbok 6, e quindi riassumendo capitolo per capitolo. Successivamente ho approfondito la guida agile e il pmbok 7 e iniziato a fare dei test di autoverifica, utili ad approfondire temi su cui non ritenevo di essere sufficientemente preparata.

     

    Quanto è importante frequentare il corso?

    Fondamentale. Lo studio mnemonico o i concetti meramente teorici non sono stati oggetto delle domande d’esame che definirei situazionali e di ragionamento. Il corso ci ha fornito numerosi momenti di riflessione ed analisi, di applicazione pratica del project management, elementi che hanno orientato il mindset, a mio avviso, e mi hanno aiutata ad affrontare le domande dell’esame.

     

    Hai studiato individualmente o in gruppo?

    Successivamente al termine del corso ho studiato individualmente per ragioni organizzative e di predisposizione personale allo studio.

     

    Come hai studiato sul PMBOK? Quali sezioni hai trovato più utili?

    Ho scelto di preparare l’esame esclusivamente in lingua inglese. Ho letto e quindi riassunto in mappe concettuali ciascun capitolo del pmbok 6. Ho trovato tutte le sezioni utili, comprese gli schemi e le parti in appendice, sia del pmbok 6 che del 7 e della guida agile.

     

    Hai ampliato la preparazione con altre letture?

    Ho avuto modo di leggere Agile People di Thoren.

     

    Quanto è stato utile l’utilizzo del simulatore? Come funziona e quali sono le domande?

    Ho utilizzato diversi simulatori, non solo quello condiviso durante il corso. Credo che i simulatori siano tra i migliori trucchi per la Certificazione PMP, perché molto utili per la preparazione, soprattutto in merito alla gestione del tempo e dello stress; sono, forse, ancora poco allineati alla tipologia di domande che poi ho trovato in sede di esame.

     

    Ti sei esercitato in qualche altro modo?

    Appunto utilizzando diversi simulatori presenti nel web.

     

    Dopo quanto tempo, hai deciso di prenotare l’esame?

    Ho deciso di sostenere l’esame entro il mese di febbraio 22 già a metà del corso (dicembre 21). 15 giorni dopo la fine del corso ho prenotato per l’esame fissato quindi al 26 febbraio.

     

    Com’è andato l’esame e come si svolge? Hai avuto difficoltà con l’inglese?

    Ho sostenuto l’esame in inglese evitando l’opzione della lingua italiana, scelta fatta per non avere distrazioni nello switch tra le due lingue. Le domande in inglese sono formulate in maniera semplice, vocabolario allineato ai testi ufficiali, oggetto di studio in lingua inglese. Prima dell’esame in modalità da remoto, ho effettuato il check in seguendo delle linee guida e quindi accettando la registrazione del mio viso che sarebbe stato inquadrato sino al termine del test. Un referente si è presentato e mi ha fornito alcune ulteriori istruzioni, prima di iniziare la verifica. L’esame si compone di 180 domande da completare in 230 min. Si possono fleggare le domande su cui si è insicuri per poterle rivedere prima di ciascuna pausa, al completamento di gruppi da 60 domande. Completate infatti 60 domande, il sistema sospende lo scorrere del tempo e delle domande, da’ la possibilità non ripetibile di rivedere quanto fatto sino a quel momento utilizzando il tempo a disposizione e quindi propone l’opzione di freezare il tempo per 10 min di pausa. Consigliabile almeno sfruttare qualche minuto di tempo per distrarsi e ritrovare la concentrazione utile ad affrontare le successive 60 domande. Ho usato tutto il tempo a disposizione, suddiviso tra completamento e review delle domande.

    Ho superato l’esame al primo tentativo, con risultato “Above Target” su tutti gli item. Il report del risultato è arrivato qualche ora dopo la conclusione del test.

     

    Riassumendo, quali consigli indispensabili daresti a chi deve affrontare l’esame e quali sono i trucchi per ottenere la Certificazione PMP?

    Organizzare il proprio percorso di studi seguendo i consigli dei trainer ma adeguandoli al proprio approccio allo studio. Fare sin da subito scelte sulla lingua, le tempistiche e i testi di studio. Preparare un calendario e una lista di task, programmando lo studio e i test di autovalutazione. Adottare tecniche di gestione del tempo e soprattutto delle emozioni che inevitabilmente caratterizzeranno gli ultimi giorni di studio e la prima parte dell’esame.

    Non lasciarti prendere dal panico!

     

     

    CARLO

     

    Quanto tempo hai studiato prima di sostenere l’esame per la Certificazione?

    Circa un paio di mesi, almeno 120 ore.

     

    Come hai svolto la tua preparazione tra corso e studio personale?

    Seguivo le lezioni, leggevo i testi e gli approfondimenti dopo la lezione, alla fine ho riguardato le registrazioni e mi sono rifatto gli appunti anche con gli approfondimenti, successivamente ho fatto tutti i test più volte e le simulazioni un paio di volte.

     

    Quanto è importante frequentare il corso?

    Fondamentale.

     

    Hai studiato individualmente o in gruppo?

    Quasi esclusivamente da solo, solo una sessione in gruppo.

     

    Come hai studiato sul PMBOK? Quali sezioni hai trovato più utili?

    L’ho studiato cercando di seguire gli argomenti del corso. Alla fine, l’ho poi riletto tutto in modo lineare.

     

    Hai ampliato la preparazione con altre letture?

    Si quelle che mi sono state proposte al corso.

     

    Quanto è stato utile l’utilizzo del simulatore? Come funziona e quali sono le domande?

    Il simulatore è fondamentale. Anche solo per testarsi sul tempo che è davvero sfidante. Le domande forse sono un po’ diverse rispetto all’esame.

     

    Ti sei esercitato in qualche altro modo?

    No.

     

    Dopo quanto tempo, hai deciso di prenotare l’esame?

    Dopo circa tre settimane.

     

    Com’è andato l’esame e come si svolge? Hai avuto difficoltà con l’inglese?

    Sono andato in un centro specializzato riconosciuto. È molto dura stare nei tempi con così tante domande. Devi concentrarti molto e isolarti completamente. Per me è stato molto importante interrompersi per fare le due pause. Ho fatto l’esame in italiano per essere più rapido nella lettura delle domande che spesso sono molto lunghe, ma a volte per non cadere in errore a causa della traduzione troppo letterale andavo a vedere la domanda in inglese (è molto semplice e veloce visualizzare la domanda originale).

     

    Riassumendo, quali consigli indispensabili daresti a chi deve affrontare l’esame e quali sono i trucchi per ottenere la Certificazione PMP?

    Seguire attentamente le indicazioni date al corso sugli argomenti fondamentali e sul modo di ragionare, leggere testi e approfondimenti costruendosi lo schema dei processi per i diversi approcci, fare tantissimi test e simulazioni per allenarsi sia al modo di ragionare per rispondere sia alla velocità necessaria.

     

    Adelaide e Carlo hanno messo a disposizione le loro esperienze per aiutare chi ha bisogno di consigli per affrontare la preparazione per la Certificazione PMP, ma se hai ancora dubbi, contattaci pure. I nostri coach ti forniranno una consulenza gratuita per darti tutte le informazioni di cui hai bisogno.