Categoria: Certificazioni Agile

Di Valentina Coradeghini

Se qualcuno mi avesse detto cosa avrebbe comportato diventare manager, non so se sarei stata disposta a farlo. Erano già diversi anni che lavoravo in azienda ed ero cresciuta come figura professionale fino ad un buon grado di seniority, come si dice appunto in gergo aziendale.

Avevo cambiato direzione e management e avevo avuto significative occasioni per mettermi in gioco e propormi su diversi progetti paralleli a quelli che solitamente seguivo.

Probabilmente in queste occasioni devo aver dimostrato qualcosa che andava oltre l’expertise tecnica, perché vuoi o non vuoi ho sempre dovuto lavorare con gli altri, in un team. A volte mi sono trovata naturalmente a guidare, a tirare le fila, a strutturare in qualche modo un pensiero collettivo e dei processi.

E così, sono iniziati alcuni discorsi su un mio futuro impegno nel coordinamento di alcuni team dell’area. Lì per lì ero davvero lusingata, perché mi sono resa conto che cambiare semplicemente management poteva ribaltare completamente la percezione della professionista che ero. Per la prima volta qualcuno scommetteva su di me un passaggio importante e non potevo che esserne infinitamente grata.

Poi però a queste forti emozioni di riconoscenza si sono affiancate quelle di una autentica fifa blu. Sarei stata in grado di affrontare una sfida così grande?

Non era la prima volta che mi trovavo a gestire un cambiamento importante.  

Quando aspettavo la nascita di mia figlia Rebecca, da brava secchiona, mi ero preparata leggendo diversi testi sulla natalità, neonati, tate professioniste, psicologi, pedagogisti e chi più ne ha e più ne metta. Ma quando sono passata dalla teoria alla pratica, di fronte ad una neonata di pochi giorni che piangeva ininterrottamente, senza riuscire a calmarla in nessun modo, il panico è stato evidente. Con mio marito ci chiedevamo: ”Ma dov’è il libretto di istruzioni?”

Ecco, se posso fare un parallelismo, quella stessa sensazione l’ho ritrovata nella mia promozione a manager.

Diventare manager comporta una serie di sfide che testano le tue capacità su più fronti. La gestione del tempo, delle persone e delle strategie richiede non solo di sviluppare velocemente nuove competenze, ma anche una profonda capacità di introspezione e adattamento. La gestione di un team, con tutte le sue dinamiche interpersonali, emerge come uno degli aspetti più complessi. Ogni decisione, ogni feedback, ogni momento di conflitto diventa un’opportunità di crescita.

Stiamo parlando di un cambiamento molto importante. Scritto adesso, con l’esperienza e la consapevolezza di quello che è stato questo percorso, rimango stupita dalla trasformazione che questo passaggio richieda. Si tratta di un percorso di crescita personale e professionale, ricco di sfide, emozioni intense e soprattutto apprendimenti.

Ecco quando devi avvitare una vite e hai a disposizione solo un martello è tosta.

Magari leggendo il libretto di istruzioni potresti apprendere che il martello non è lo strumento adatto ma serve un particolare cacciavite e come riuscire a procurartelo.

Mi sono resa conto che, senza gli strumenti adatti, il rischio di fare danni era concreto.

Così dopo un primo momento di confusione, ho iniziato a cercare attivamente quel cacciavite, di cui non conoscevo ancora le sembianze. L’ho composto grazie al supporto di tante voci: mentori, coach, corsi di formazione che mi hanno permesso di fare un salto di mindset. Da questo punto di svolta, tutto il resto si è messo in fila e ha lasciato spazio ad un flusso armonioso che si intersecava nella complessità dei progetti.

Penso che uno dei migliori “cacciaviti” che ho portato nel mio modo di intendere il lavoro e creare un ambiente sano e stimolante dove liberare il potenziale delle persone, sia stato il mio avvicinamento ai principi Agili. In quegli anni in azienda era nato da poco un nuovo software center che lavorava completamente in agile. Diversi team di sviluppo si sfidavano in un ambiente molto creativo e colorato a colpi di kanban, sprint, story point. Da loro, generosi nel raccontarsi ed aprire il loro mondo agli altri, ho appreso un nuovo modo di approcciare al team come manager, un nuovo modo in cui il team si considera responsabile e autonomo, un nuovo modo che utilizza lo scambio e feedback costruttivi e vuole migliorare continuamente.

Dopo qualche mese, la soddisfazione ha iniziato ad essere una nuova emozione che faceva capolino e che diventava sempre più frequente ed intensa. Quello che riuscivo a fare accadere con il team, come trovare nuovi modi di lavorare e ottenere risultati sempre più soddisfacenti, andava via via ad alimentare un circolo virtuoso in cui sia io che i miei colleghi ricevevamo una iniezione di energia e motivazione che ci spingeva a dare sempre qualcosa in più per il bene del contenuto prodotto per i nostri clienti. L’espressione della passione per il proprio lavoro era evidente.

Quando ho iniziato a vedere che gli ingranaggi giravano correttamente e in modo autonomo, ho avuto la netta percezione che il mio lavoro avesse raggiunto un grande traguardo.

E da lì ho capito una lezione molto importante: il manager gestisce le persone e i processi, rischiando una funzione controllante, mentre il leader agevola la creazione di un team autonomo, responsabile a cui dà fiducia e che vive armoniosamente in un sistema più complesso. Guidare un team verso una visione condivisa, ispirare e motivare, significa trasformare l’ambiente di lavoro in un luogo dove ogni persona può realizzarsi e contribuire al successo comune.

Questo passaggio da manager a leader ha definito meglio la direzione del mio percorso e il mio approccio alle relazioni professionali.

Diventare un leader non è solo un avanzamento di carriera; è un’avventura personale e professionale che trasforma profondamente chi siamo e come influenziamo il mondo intorno a noi. Se qualcuno mi avesse detto cosa avrebbe comportato e mi avesse rassicurato sul viaggio sfidante ma al tempo stesso meraviglioso, la paura avrebbe lasciato spazio all’entusiasmo. 

E tu a che punto sei?
Se ti trovi in un momento di trasformazione e vuoi approfondire come affrontare un cammino simile al mio e trovare il giusto supporto per le tue sfide professionali, lascia i tuoi contatti se vuoi ricevere dei consigli per il tuo percorso professionale.


    Di Sabrina Elisabetta Laterza

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    Saper facilitare un team agile è essenziale per chi aspira a ruoli come Scrum Master, Agile Coach o Project Manager. Se sei nuovo come Scrum Master e ti trovi ad affrontare una situazione urgente che richiede la tua guida, ma non hai mai facilitato prima, come puoi prepararti?

    Ciao sono Sabrina, Scrum Master in due Scrum Team di sviluppo software da circa un anno. Ho creato questa guida partendo dalle domande che mi sono posta preparando la mia prima facilitazione. Voglio condividerla con te per aiutarti a superare l’agitazione e il brivido iniziale.

    Questo articolo è il risultato di ricerca e sforzi per raggiungere il mio primo obiettivo come Scrum Master: “non fare disastri e aiutare il team a raggiungere da sé il valore di cui ha bisogno.”

    Ecco come ho creato la mia prima facilitazione Agile in 7 passi:

     

    1. Identifica e coinvolgi i partecipanti

    Identifica chi parteciperà. Conoscere il numero di partecipanti e i loro ruoli aiuterà nella preparazione. Pianifica coinvolgimenti specifici per assicurarti che tutti si sentano ingaggiati e ascoltati. Chi parteciperà alla facilitazione: solo i membri del team o anche stakeholder e manager?

    Le Domande da porsi ora sono: “Chi è coinvolto nel tema?”, “Ci sono ruoli specifici che dovrebbero partecipare attivamente?”, “Conosco già i partecipanti?”. “Cosa si aspettano dalla facilitazione?”.

    Queste domande ti saranno utili, inoltre, perché potrai capire se, durante la facilitazione:

    • dovrai dedicare più tempo al team building e al warm-up nel caso di “nuovi volti”
    • o se dovrai cominciare con una “safety-check” per verificare che gli interlocutori si sentano a loro agio nell’esprimere idee, riflessioni e preoccupazioni (sicurezza psicologica), nel caso in cui partecipino persone con diversi ruoli e in presenza di conflitti.

     

    1. Definisci l’obiettivo

    Alla base di qualsiasi facilitazione efficace c’è un obiettivo chiaro. Qui ti occorre sapere: “cosa vuole ottenere il tuo team da questa sessione?” Potrebbe essere un’azione specifica, una retrospettiva, ottenere una comprensione più profonda su un tema o risolvere un problema. Ad esempio, se stai iniziando un nuovo progetto, l’obiettivo potrebbe essere “Definire gli obiettivi chiave e le aspettative per il progetto”.

     

    1. Pianifica la struttura

    Decidi se la tua facilitazione sarà online o in presenza. Scegli un formato che si adatti ai tuoi obiettivi, come la “Focused Conversation” o la Facilitazione Visiva, e pianifica i passaggi chiave di conseguenza.

    Ad esempio, per analizzare un problema e far emergere le cause alla sua radice, nel caso della Focused Conversationpotresti utilizzare la tecnica dei 5 perché nel flusso della discussione, oppure potresti servirti di un elemento visivo come il “Fishbone Diagram” per la Facilitazione visiva.

    Le domande chiave che ti possono aiutare a pianificare la struttura sono: “se dovrò facilitare in presenza avrò a disposizione lo spazio necessario?”, “qual è il livello di dimestichezza dei partecipanti con i tool per le facilitazioni online, come miro o mural, per le riunioni online?” E di conseguenza capirai se includere un on-boarding o meno alla lavagna virtuale.

    Ora hai una quantità di informazioni utili per definire il tuo schema di facilitazione. A questo proposito, per farmi un’idea di come progettare i diversi momenti di una facilitazione ho trovato spunti davvero utilissimi in quest’articolo di Alessandro Ingrosso per AMI, pensato per Facilitatori che vogliono arrivare al livello Pro, e nel libro “Agile Retrospective: Making Good Teams Great” di Esther Derby, Diana Larsen, Ken Schwaber[1]:

     

    1. Prepara il materiale

    Raccogli il necessario per facilitare. Crea board online, presentazioni o lavagne fisiche. Pensa a template già pronti o tecniche già “rodate” da utilizzare per cominciare e man mano che ti senti più confidente sperimenta e crea. Puoi trovare un’infinità di idee su Retromat. Assembla ora tutto ciò di cui avrai bisogno: dalla tecnologia agli strumenti visivi in presenza.

     

    1. Crea un’agenda dettagliata

    Stabilisci il tempo e definisci l’agenda della sessione. Inviare via mail ai partecipanti un’anteprima dell’agenda per creare aspettative condivise è, da un lato, un atto di premura e gentilezza che fa la differenza e, dall’altro un grande risparmio di tempo che ti permetterà di saltare lunghe introduzioni. Pianifica il flusso della tua facilitazione in base all’obiettivo e ai tempi disponibili. Dettaglia ogni fase, inclusi i momenti di interazione e di pausa, questo ti permetterà di gestire al meglio il tuo tempo aiutando, così, i partecipanti ad ottenere il valore atteso entro il termine della riunione.

    Un esempio di agenda potrebbe essere:

    • “Introduzione e chiarimento dell’obiettivo (con warm-up o safty-check) – 10 minuti”,
    • “Raccolta dati e attività di brainstorming – 20 minuti”,
    • “Discussione e raccolta di feedback – 15 minuti”.

     

    1. Aggiungi creatività e divertimento

    Coinvolgere i partecipanti in un’esperienza ludica aiuta a mantenere alta l’energia e, inoltre, serve a creare un clima rilassato e di fiducia. Puoi sbizzarrirti introducendo un “icebreaker” per iniziare la sessione in modo leggero e positivo. Puoi servirti di tecniche e giochi, come quiz a tema o indovina la canzone.

    Ogni volta che incontro nuovi team, per esempio, mi piace utilizzare una sorta di ruota della fortuna[2] con domande random divertenti per poterci conoscere e cominciare a creare un ambiente familiare e rilassato. I feedback sono molto positivi e l’effetto è che i partecipanti si aprono più volentieri.

    Gamification, Storytelling e interattività sono le 3 chiavi fondamentali per organizzare facilitazioni memorabili. Permettono ai partecipanti di sviluppare il desiderio di scoprire, imparare, capire e migliorare senza sentirsi vincolati o annoiati.

    Riguardo alle Retrospective vincenti, Riccardo Ciocci, in un precedente articolo e in un webinar di Agile Made in Italy, fornisce ispirazioni e consigli utili.

     

    1. L’ingrediente “Segreto” – il PDCA

    Infine, proprio come Scrum insegna, segui il ciclo Plan, Do, Check, Act di W. E. Deming per migliorare continuamente le tue facilitazioni, ovvero:

    Pianifica la facilitazione, mettila in pratica, valuta cosa ha funzionato e cosa puoi migliorare e, di volta in volta, adatta le facilitazioni per le future sessioni.

    Questo processo continuo ti aiuterà a crescere costantemente e a migliorare velocemente come facilitatore.

     

    Questa guida non è l’unica via da seguire per creare facilitazioni e non intende essere una “lista della spesa” esaustiva, ma si tratta della condivisione di alcune delle pratiche che ho sperimentato in prima persona per mettere a terra la mia prima facilitazione agile.

    Per realizzarla ho consultato alcuni blog autorevoli di settore, ho fatto tante domande e chiesto pareri di diversi professionisti con una grande esperienza sulle spalle, partendo proprio dai colleghi di Agile Made in Italy. Ho partecipato, in prima persona come parte di un team in alcune sessioni di facilitazione messe a disposizione da colleghi internazionali su meetup ed ho preso un pizzico di coraggio proponendomi come facilitatore per alcune attività di Agile Made in Italy per poter imparare nel modo più efficace possibile: dall’esperienza, dai feedback e dagli “errori”.

    Ora hai un kit d’emergenza per creare la tua prima facilitazione agile! Con questi passaggi fondamentali spero tu possa avere le idee un po’ più chiare, sentirti sicuro e carico per creare la tua prima facilitazione per team agile. Pianifica, testa, implementa… ma soprattutto: divertiti e fammi sapere com’è andata! [3]

     

     

    [1] Puoi leggere qui un estratto da Google Books del libro “Agile Retrospective: Making Good Teams Great”.

    [2]  Ho creato un esempio di ”gira la ruota a tema Halloween”, lo trovi qui.

    [3] dammi pure i tuoi feedback qui.

    Di Alessandro Ingrosso

     

    Tutti pazzi per Agile! L’interesse verso gli approcci Agile è ancora molto alto, sono molte in Italia le aziende che hanno avviato il processo di Agile Transformation. Ogni azienda ha scelto tra numerosi metodi, pratiche e strumenti Agile quello che ha ritenuto essere adatto ai propri bisogni e obiettivi. Alcune aziende hanno scelto un approccio top-down selezionando framework per la scalabilità di Agile e/o Scrum. Altre aziende hanno preferito un approccio bottom-up partendo da piccoli progetti di trasformazione per ottenere prove concrete di miglioramento. Altre aziende sono in balia delle scelte dei loro clienti, che talvolta chiedono approcci Agile e altre volte approcci predittivi o ibridi.

     

    In questo scenario ancora in pieno fermento, tutti concordano che per avviare un percorso consapevole di Agile Transformation è necessario formarsi e acquisire delle certificazioni Agile. Sembra semplice, ma così non è, perché se stai leggendo questo articolo è proprio perché ti sei accorto che ci sono tanti enti di certificazione e tante certificazioni differenti, scegliere è veramente difficile ed è normale sentirsi confusi.

     

    In questo articolo proverò ad aiutarti a prendere una decisione fornendoti maggiori dettagli e il mio punto di vista, quello di un professionista che ancora oggi quotidianamente si fa la stessa domanda: e ora, quale certificazione Agile scelgo?

     

    Qualche anno fa ho fatto una ricognizione di tutti gli enti di certificazione Agile e su approcci Agile (es.: Scrum, Kanban, ecc.), vuoi sapere quanti sono? 10, sei sorpreso? E non credo siano tutti, di seguito il dettaglio:

    • Axelos
    • Exin
    • International Consortium for Agile
    • International Scrum Institute
    • Project Management Institute
    • Scrum.org
    • Scaled Agile Framework
    • Scrum Alliance
    • Scrum Inc
    • Scrum Study

     

    Vuoi sapere complessivamente di quante certificazioni Agile stiamo parlando? 111 tipi di certificazioni (sicuramente ne ho dimenticata qualcuna). Un numero che personalmente reputo pazzesco, ma che è anche indice di quanto sia elevata la domanda del mercato in questo ambito.

     

    Di fronte a questo scenario è normale porsi delle domande, a titolo esemplificativo e non esaustivo:

    • Con 111 certificazioni da dove si parte?
    • Quali criteri utilizzo per scegliere la certificazione che meglio si adatta al mio lavoro?
    • Quale certificazione mi consentirà di raggiungere i miei obiettivi?
    • Quale certificazione mi aprirà facilmente verso nuove opportunità di carriera e di lavoro?
    • Qual è la certificazione con il miglior rapporto costo/beneficio?
    • Qual è la certificazione che mi aiuta a crescere in azienda?

     

    Non aspettarti che risponda puntualmente ad ogni singola domanda in modo predittivo.

    Congratulazioni, sei appena entrato nel tuo percorso verso la mindfulness agile 🙂

     

    Infatti, non c’è una soluzione uguale per tutti. Esiste la soluzione adatta a te, quella che funziona, ma l’unico modo che hai per scoprirla è sperimentare, ispezionare e adattare.

    Personalmente ho un punto di vista molto forte sulla formazione e la preparazione alle certificazioni Agile, che potresti non condividere.

     

    La formazione è l’acquisizione di nuove conoscenze, conoscenze che prima non avevi, e solo nel momento in cui le hai acquisite puoi decidere se si adattano alla tua persona e se liberano il potenziale che c’è in te. La formazione genera nuove opportunità, ti cambia la vita, ti migliora e accende nuove passioni motivandoti a cambiare. L’apice lo raggiungi quando vuoi raccontare ad amici e colleghi cosa hai imparato, che esistono modi di lavorare differenti e che vorresti sperimentare.

     

    Questo è molto di più di una semplice certificazione, questo è l’inizio di un processo di miglioramento continuo di se stessi e di riflesso nelle persone che ci circondano.

    Diversamente è solo un processo ripetitivo, dove il what vince sul why, che ci vede tutti diventare Scrum Master, Product Owner, o chissà cos’altro domani, perché ora è questa la certificazione che devi avere per vincere una gara.

    Non fraintendermi, vincere le gare va benissimo, certificarsi va benissimo, ma al centro ci sei tu, una persona con ambizioni, motivazioni e sogni che vorresti realizzare in quel 1/3 della tua giornata per i prossimi 40 anni.

     

    Se sei arrivato sin qui nella lettura del mio articolo, forse è perché senti che la certificazione è una cosa importante, non è una semplice pecetta. Sei curioso e affamato di conoscenza, e forse la tua prima certificazione Agile sarà solo l’inizio di un percorso che ti darà grandi soddisfazioni personali e professionali.

     

    Spero che questa premessa ti abbia dato una prospettiva diversa nella tua ricerca della certificazione, le domande fondamentali a cui solo tu puoi rispondere sono:

    • Perché ti vuoi certificare?
    • Quale valore c’è per te nella certificazione?
    • Quale valore potrai generare nel tuo team o nel prossimo dove andrai a lavorare?
    • Quale valore potrai creare per la tua organizzazione?

     

    Le certificazioni, specie quelle più conosciute e richieste, sono difficili da ottenere. Non è solo una questione di costo, che in alcuni casi è anche avvicinabile, ma solo una questione di tempo. Sì, il tempo, quello necessario a frequentare un corso, a studiare dopo le lezioni, a prepararsi per l’esame e a continuare a studiare per approfondire e diventare un professionista esperto della materia e con esperienza.

    Già, non termina, tutto con la certificazione, spesso questa è solo l’inizio. Ad esempio, per diventare Master di Scrum, non basta solo la certificazione, è necessario esercitare il mindset, sperimentare, progettare gli incontri, leggere e continuare a farsi domande per migliorare. Non ci avevi pensato a questo, vero?

    Ho visto tanti partecipanti iniziare corsi di certificazione per poi non certificarsi, proprio perché di fronte alle difficoltà nel bilanciare lavoro, famiglia e studio non ce l’hanno fatta.

     

    Poi ovviamente esistono anche le certificazioni per questi casi, certificazioni che facilmente si riescono ad acquisire con le nozioni del percorso formativo e senza studio aggiuntivo. Tipicamente con soglie di superamento basse, domande semplici, tempi lunghi, open book.

    Ma sono sicuro che se sei arrivato a leggere fin qui, tu ci tieni ad acquisire una certificazione di valore dimostrando a te stesso che padroneggi le conoscenze acquisite.

     

    Ora sei pronto a scegliere il tuo percorso di formazione e crescita professionale, hai acquisito maggiore consapevolezza di te, dei tuoi obiettivi e delle tue aspirazioni.

     

    Pubblicherò periodicamente un approfondimento per singolo ruolo Agile o per certificazioni.

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