Autore: Roberta Mazzotta

Di Riccardo Ciocci

 

Cosa si intende per servant leadership?

“Una filosofia di leadership in cui l’obiettivo del leader è servire. Diversamente dalla leadership tradizionale in cui l’obiettivo principale del leader è la prosperità della propria azienda o organizzazione. Un leader servente condivide il potere, mette al primo posto le esigenze dei dipendenti e aiuta le persone a svilupparsi e ad ottenere prestazioni il più elevate possibile”.
Questa è la definizione di servant leadership data dalla pagina inglese di Wikipedia.
Appena si legge questa definizione il primo pensiero è “che bello sarebbe avere come capo una persona del genere”, il che rende la figura del servant leader simile a quella dello Yeti: tutti ne parlano, alcuni dicono di averlo visto, ma per la scienza non ci sono prove della sua esistenza.
E quindi la prima domanda che ci si pone è: il servant leader esiste?

 

Servant leader: un bisogno primordiale

Per rispondere a queste domande ci viene in aiuto un testo di Simon Sinek, scrittore, noto motivatore e consulente di marketing inglese: Leader at Least (Ultimo viene il leader) del 2014.
Il tema da cui partire è che il servant leader non è una scoperta, ma una riscoperta.
Sinek espone in maniera analitica quali sostanze producono piacere nella specie umana. Esse sono quattro, nell’ordine: endorfina, dopamina, serotonina e ossitocina.
Le prime due sostanze sono in comune con moltissimi altri esseri viventi e sono prodotte dai risultati che vengono raggiunti individualmente. Esse riguardano unicamente noi stessi e ci danno la forza di raggiungere degli obiettivi che ci prefiggiamo.
Le ultime due invece sono uniche della razza umana, si sono sviluppate insieme alla neocorteccia all’epoca degli homo sapiens e ci danno il piacere nello stare con gli altri. Ci danno la sensazione di essere gratificati dai complimenti dell’altro, e ci danno la soddisfazione di aver aiutato una persona cara.
Citando testualmente:
“L’ossitocina però non ha il solo scopo di farci sentire felici. È anche vitale per il nostro istinto di sopravvivenza. […] È grazie all’ossitocina se riusciamo a fidarci di un altro nel momento in cui costruiamo il nostro business, facciamo qualcosa di difficile, dobbiamo uscire da un momento di crisi. È grazie all’ossitocina se siamo sensibili ai rapporti umani e ci piace stare con quelli che amiamo. L’ossitocina fa di noi degli animali sociali.”
Queste parole ci danno la giusta dimensione di quanto lavorare in team con persone con cui abbiamo un rapporto di fiducia sia un bisogno insito nel genere umano. Spesso, infatti, chi lavora a contatto con il pubblico, una volta finito di lavorare preferisce passare del tempo in solitudine. Al contrario chi svolge un lavoro che manca di relazioni con altri, queste vengono ricercate fuori dall’ambiente lavorativo. È una questione di equilibrio tra le quattro sostanze.

 

Agile, Scrum e Servant leadership

Ci sono diverse realtà che cercano di seguire la rotta della leadership servente e Sinek ne illustra diverse che nel corso degli anni si sono distinte per questo nel panorama americano, ma possiamo fare un ulteriore passo avanti: l’apertura all’errore, la collaborazione, la condivisione delle conoscenze sono concetti molto familiari per tutte quelle aziende che stanno applicando l’Agile Manifesto e il Framework Scrum.
All’interno dello Scrum Team possiamo infatti rilevare la presenza dello Scrum Master, ovvero di un leader a servizio del team, che supporta la squadra senza acquisirne il comando lavorando sulla fiducia (del team e dell’organizzazione in generale), sulla gestione dei conflitti, sulla comunicazione, oltre che sulla diffusione della cultura Agile e del framework Scrum.
Non per questo dobbiamo essere indotti a pensare che un servant leader sia possibile solo attraverso i framework Agile.
Come detto tante aziende sono riuscite a creare un clima di fiducia reciproca anche senza l’utilizzo di Scrum.
Ma di sicuro ora possiamo dare una risposta alla nostra primissima domanda:
Sì, il servant leader esiste.

 

Creare il cerchio della sicurezza

Nel privato come nel lavoro c’è bisogno di instaurare dei rapporti autentici, relazionali e professionali; non si tratta di amicizia ma di ciò che Sinek definisce “cerchio della sicurezza”.
In un gruppo di gazzelle quando la prima gazzella avverte il pericolo di un leone che sta per attaccare e inizia a correre, tutto il branco inizia a scappare insieme a lei. Nessuna gazzella mette in dubbio il perché la prima ha iniziato a correre, ognuna sa che c’è un pericolo e si fida del comportamento della compagna.
In un “cerchio della sicurezza” le cose accadono allo stesso modo. Ogni elemento nel cerchio tutela se stesso e ogni altro membro del team, con la certezza che anche gli altri faranno altrettanto.
L’obiettivo è allargare il cerchio della sicurezza affinché non riguardi solo il team di lavoro ma possa includere l’organizzazione nella sua interezza.
Come fa il servant leader a lavorare al cerchio della sicurezza?

Mantenere il contatto con la realtà. Tenere unite le persone.
Per quanto possano essere utili e funzionali i contatti che manteniamo con chat o mail, niente può sostituire l’incontro faccia a faccia (sesto principio dell’Agile Manifesto).

Gestibilità. Obbedire al numero 150[1].
Ricordare che una persona non può mantenere dei rapporti basati solidi, basati sulla fiducia con più di centocinquanta persone. Il lavoro da remoto non aumenta questo numero[2].
Il top management se vuole che i dipendenti si sentano all’interno di cerchi della sicurezza nel proprio posto di lavoro, deve far in modo che il personale massimo in una sede non superi questo numero.

Incontrare le persone che si devono aiutare.
Incontrare personalmente i dipendenti o i membri del team contribuisce ad alimentare la motivazione.

Dare tempo e non solo soldi.
Un vero leader viene riconosciuto come tale quando è disposto a dedicare alla propria squadra l’unica risorsa che non può essere rigenerata: il tempo.
La riconoscenza e il senso di appartenenza di un membro rispetto al resto del team, sarà tanto maggiore quanto più tempo si sarà speso in tal senso.

Pazienza. La regola dei sette giorni e dei sette anni.
Quanto tempo ci vuole per creare il rapporto di fiducia tale da creare il “cerchio della sicurezza”?
Io non lo so, ma Sinek scrive che ci vogliono più di sette giorni, ma meno di sette anni.

La cultura aziendale gioca un ruolo determinante anche in termini di competitività e in un mondo sempre più complesso caratterizzato da veloci cambiamenti, chi di noi non vorrebbe un cerchio della sicurezza in cui lavorare?
Spazio quindi alle relazioni umane sane, solide e ben orientate: il leader che smette di guidare e si pone al servizio ha la grande opportunità di contribuire a costruire una nuova cultura organizzativa.

 


 

[1] Sinek riporta alla base la legge di Dunbar che riporta l’impossibilità dell’uomo di mantere più di 150 relazioni stabili. Citando testualmente: “Robin Dunbar, antropologo inglese e professore al Dipartimento di Psicologia sperimentale di Oxford […] ha dimostrato che una persona non è in grado di gestire più di centocinquanta relazioni dirette alla volta con I propri simili. ‘In altri termini’, come piace dire a lui, ‘si tratta del numero di persone con cui non vi sentireste imbarazzati a sedervi a bere qualcosa senza essere stati invitati se vi capitasse di incontrarle in un bar.”

 

[2] L’autore riporta le conclusioni di un esperimento fatto dal giornalista Rick Lax su wired.com nel marzo del 2012 raccontato in un articolo dal titolo: “Dunbar’s Number KIcked My Ass in Facebook Friends Experiment.”

Sinek scrive: “Molti hanno creduto che, con l’arrivo di Internet, il numero di Dunbar sarebbe diventato obsoleto. Che saremmo stati in grado di comunicare simultaneamente con tante persone e avremmo potuto gestire in modo efficace un numero superiori di relazioni. Ma I fatti dimostrano che non è così. La partita la vince di nuovo l’antropologia. Possiamo avere anche 800 amici su Facebook, ma è improbabile che li conosciamo tutti personalmente, così come è improbabile che tutti e ottocento ci conoscano personalmente. Se vi sedeste e provaste a contattarli uno per uno, come ha fatto Rick Lax, un giornalista di wired.com, vi accorgereste subito che il numero di Dunbar è sempre valido. Lax si è stupito nel constatare quanto fossero pochi, tra I suoi oltre duemila ‘amici’, quelli che effettivamente conosceva e che conoscevano lui.”

Di Riccardo Ciocci 

 

Nei precedenti articoli abbiamo sviscerato tutte le cause che hanno portato alla nascita delle retrospective a tema.

 

Tutto questo è nato dall’esigenza a primo impatto infantile, ma in realtà primordiale di divertirsi lavorando. Costruire le attività avendo quest’obiettivo comporta allo Scrum Master un effort maggiore. Infatti si tratta di un processo molto più complesso in quanto:

 

– astrarre le attività con una metafora può rendere meno chiare le consegne. Per questo bisogna avere l’accortezza di essere didascalici nello spiegare le attività durante la Retrospective;

 

– richiede conoscenza dei membri del team. Il tema deve essere comprensibile agli occhi dei partecipanti alla retro. Lo Scrum Master può essere autoreferenziale nella scelta degli argomenti, ma allo stesso tempo deve essere sicuro di rendere la metafora accessibile;

 

– rende l’attività difficilmente replicabile. Se un obiettivo è quello di avere delle attività pronte per essere riproposte in base agli eventi avvenuti in uno Sprint, le retro a tema complica sicuramente la vita.

 

Accogliendo questi effetti collaterali, le retro a tema sono delle opere uniche, sono il frutto di uno Scrum Master artigiano che dedica molto tempo alla cura del suo operato, piuttosto che alla sua riproducibilità in serie.

 

Di Sprint in Sprint le Retrospective a tema si stanno evolvendo, attraverso la sempre maggior conoscenza del team e all’utilizzo di nuovi strumenti.

Tutto questo per rendere l’evento stimolante e ludico senza perdere di vista il focus sull’obiettivo: incentivare il confronto.

Un confronto che oltre a essere efficace viene reso ricreativo e divertente.

 

Detto questo non mi rimane altro che concludere con un augurio, piuttosto che con un consiglio:

Buon lavoro e divertitevi!

 

Leggi gli articoli precedenti: 

 

Sprint Retrospective: le mie prime domande e risposte da Scrum Master

Sprint Retrospective: giocare per lavorare, la nascita delle board a tema

 

 

Di Alessandro Ingrosso

 

Tutti pazzi per Agile! L’interesse verso gli approcci Agile è ancora molto alto, sono molte in Italia le aziende che hanno avviato il processo di Agile Transformation. Ogni azienda ha scelto tra numerosi metodi, pratiche e strumenti Agile quello che ha ritenuto essere adatto ai propri bisogni e obiettivi. Alcune aziende hanno scelto un approccio top-down selezionando framework per la scalabilità di Agile e/o Scrum. Altre aziende hanno preferito un approccio bottom-up partendo da piccoli progetti di trasformazione per ottenere prove concrete di miglioramento. Altre aziende sono in balia delle scelte dei loro clienti, che talvolta chiedono approcci Agile e altre volte approcci predittivi o ibridi.

 

In questo scenario ancora in pieno fermento, tutti concordano che per avviare un percorso consapevole di Agile Transformation è necessario formarsi e acquisire delle certificazioni Agile. Sembra semplice, ma così non è, perché se stai leggendo questo articolo è proprio perché ti sei accorto che ci sono tanti enti di certificazione e tante certificazioni differenti, scegliere è veramente difficile ed è normale sentirsi confusi.

 

In questo articolo proverò ad aiutarti a prendere una decisione fornendoti maggiori dettagli e il mio punto di vista, quello di un professionista che ancora oggi quotidianamente si fa la stessa domanda: e ora, quale certificazione Agile scelgo?

 

Qualche anno fa ho fatto una ricognizione di tutti gli enti di certificazione Agile e su approcci Agile (es.: Scrum, Kanban, ecc.), vuoi sapere quanti sono? 10, sei sorpreso? E non credo siano tutti, di seguito il dettaglio:

  • Axelos
  • Exin
  • International Consortium for Agile
  • International Scrum Institute
  • Project Management Institute
  • Scrum.org
  • Scaled Agile Framework
  • Scrum Alliance
  • Scrum Inc
  • Scrum Study

 

Vuoi sapere complessivamente di quante certificazioni Agile stiamo parlando? 111 tipi di certificazioni (sicuramente ne ho dimenticata qualcuna). Un numero che personalmente reputo pazzesco, ma che è anche indice di quanto sia elevata la domanda del mercato in questo ambito.

 

Di fronte a questo scenario è normale porsi delle domande, a titolo esemplificativo e non esaustivo:

  • Con 111 certificazioni da dove si parte?
  • Quali criteri utilizzo per scegliere la certificazione che meglio si adatta al mio lavoro?
  • Quale certificazione mi consentirà di raggiungere i miei obiettivi?
  • Quale certificazione mi aprirà facilmente verso nuove opportunità di carriera e di lavoro?
  • Qual è la certificazione con il miglior rapporto costo/beneficio?
  • Qual è la certificazione che mi aiuta a crescere in azienda?

 

Non aspettarti che risponda puntualmente ad ogni singola domanda in modo predittivo.

Congratulazioni, sei appena entrato nel tuo percorso verso la mindfulness agile 🙂

 

Infatti, non c’è una soluzione uguale per tutti. Esiste la soluzione adatta a te, quella che funziona, ma l’unico modo che hai per scoprirla è sperimentare, ispezionare e adattare.

Personalmente ho un punto di vista molto forte sulla formazione e la preparazione alle certificazioni Agile, che potresti non condividere.

 

La formazione è l’acquisizione di nuove conoscenze, conoscenze che prima non avevi, e solo nel momento in cui le hai acquisite puoi decidere se si adattano alla tua persona e se liberano il potenziale che c’è in te. La formazione genera nuove opportunità, ti cambia la vita, ti migliora e accende nuove passioni motivandoti a cambiare. L’apice lo raggiungi quando vuoi raccontare ad amici e colleghi cosa hai imparato, che esistono modi di lavorare differenti e che vorresti sperimentare.

 

Questo è molto di più di una semplice certificazione, questo è l’inizio di un processo di miglioramento continuo di se stessi e di riflesso nelle persone che ci circondano.

Diversamente è solo un processo ripetitivo, dove il what vince sul why, che ci vede tutti diventare Scrum Master, Product Owner, o chissà cos’altro domani, perché ora è questa la certificazione che devi avere per vincere una gara.

Non fraintendermi, vincere le gare va benissimo, certificarsi va benissimo, ma al centro ci sei tu, una persona con ambizioni, motivazioni e sogni che vorresti realizzare in quel 1/3 della tua giornata per i prossimi 40 anni.

 

Se sei arrivato sin qui nella lettura del mio articolo, forse è perché senti che la certificazione è una cosa importante, non è una semplice pecetta. Sei curioso e affamato di conoscenza, e forse la tua prima certificazione Agile sarà solo l’inizio di un percorso che ti darà grandi soddisfazioni personali e professionali.

 

Spero che questa premessa ti abbia dato una prospettiva diversa nella tua ricerca della certificazione, le domande fondamentali a cui solo tu puoi rispondere sono:

  • Perché ti vuoi certificare?
  • Quale valore c’è per te nella certificazione?
  • Quale valore potrai generare nel tuo team o nel prossimo dove andrai a lavorare?
  • Quale valore potrai creare per la tua organizzazione?

 

Le certificazioni, specie quelle più conosciute e richieste, sono difficili da ottenere. Non è solo una questione di costo, che in alcuni casi è anche avvicinabile, ma solo una questione di tempo. Sì, il tempo, quello necessario a frequentare un corso, a studiare dopo le lezioni, a prepararsi per l’esame e a continuare a studiare per approfondire e diventare un professionista esperto della materia e con esperienza.

Già, non termina, tutto con la certificazione, spesso questa è solo l’inizio. Ad esempio, per diventare Master di Scrum, non basta solo la certificazione, è necessario esercitare il mindset, sperimentare, progettare gli incontri, leggere e continuare a farsi domande per migliorare. Non ci avevi pensato a questo, vero?

Ho visto tanti partecipanti iniziare corsi di certificazione per poi non certificarsi, proprio perché di fronte alle difficoltà nel bilanciare lavoro, famiglia e studio non ce l’hanno fatta.

 

Poi ovviamente esistono anche le certificazioni per questi casi, certificazioni che facilmente si riescono ad acquisire con le nozioni del percorso formativo e senza studio aggiuntivo. Tipicamente con soglie di superamento basse, domande semplici, tempi lunghi, open book.

Ma sono sicuro che se sei arrivato a leggere fin qui, tu ci tieni ad acquisire una certificazione di valore dimostrando a te stesso che padroneggi le conoscenze acquisite.

 

Ora sei pronto a scegliere il tuo percorso di formazione e crescita professionale, hai acquisito maggiore consapevolezza di te, dei tuoi obiettivi e delle tue aspirazioni.

 

Pubblicherò periodicamente un approfondimento per singolo ruolo Agile o per certificazioni.

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Torna la nostra rubrica con alcuni suggerimenti e trucchi per sostenere la preparazione e l’esame per la Certificazione PMP. Questa volta a darci alcuni consigli è Luca Fava, che, dopo aver seguito il nostro corso, ha superato con successo l’esame lo scorso 5 giugno 2022.

 

Quanto tempo hai studiato prima di sostenere l’esame per la Certificazione PMP?

Ho cominciato il corso a Novembre 2021 e sostenuto l’esame il 5 Giugno 2022

 

Come hai svolto la tua preparazione tra corso e studio personale?

Ho completato la preparazione del corso approfondendo le slide trattate durante le lezioni, esercitandomi con le domande di autoverifica e studiando il PMBOK

 

Quanto è importante frequentare il corso?

Lo considero molto utile perché rappresenta un’occasione di confronto che aiuta il candidato ad entrare nelle logiche del PMI attraverso il ragionamento ed i lavori di gruppo. Oltretutto è un’occasione di arricchimento per condividere esperienze e best practice con gli altri partecipanti.

 

Hai studiato individualmente o in gruppo?

Al di fuori del corso ho studiato individualmente

 

Come hai studiato sul PMBOK? Quali sezioni hai trovato più utili?

Ho letto il PMBOK sia nella versione 6 che la 7 e la Guida Agile provando a schematizzare le informazioni principali. La versione 6 è molto utile per avere una vista esaustiva dei processi delle varie Knowledge Area e degli elementi che li caratterizzano, mentre la versione 7 è più discorsiva e focalizzata sull’approccio.

 

Hai ampliato la preparazione con altre letture?

No.

 

Quanto è stato utile l’utilizzo del simulatore? Come funziona e quali sono le domande?

Indispensabile. Sia per evidenziare le aree che necessitano di ulteriori approfondimenti che per allenarsi rispetto alle tempistiche di esame.

 

Ti sei esercitato in qualche altro modo?

Con altri simulatori che ho trovato online.

 

Dopo quanto tempo, hai deciso di prenotare l’esame?

Ho prenotato l’esame ad Aprile.

 

Com’è andato l’esame e come si svolge? Hai avuto difficoltà con l’inglese?

Per chi come me lo svolge da remoto è importante non avere nulla sulla scrivania al di fuori dell’acqua e posizionarsi nell’ambiente più silenzioso possibile: anche un rumore esterno può generare interruzioni e richieste di verifica da parte degli addetti al controllo, che inevitabilmente comportano perdite di tempo. Dopo il check-in l’esame si compone di 3 blocchi di 60 domande al termine di ciascuno dei quali è possibile fare una pausa di max 10 min. (extra rispetto ai 230 min.). Prima della pausa puoi rivedere le 60 domande dopodiché non è più possibile. L’inglese mi è sembrato facilmente comprensibile ma può incidere sui tempi di risposta alle domande, quindi ho preferito svolgerlo in italiano per essere più rapido, limitando il check in lingua inglese ai casi veramente necessari.

 

Riassumendo, quali consigli indispensabili daresti a chi deve affrontare l’esame per la Certificazione PMP?

– Preparati al corso con Alessandro e Piero!

– Pianifica lo studio individuale prevedendo da subito dei check intermedi di autoverifica.

– Completato il programma fai challenge su contenuti e tempi di risposta con delle sessioni di simulazione, magari a lotti di domande di numerosità crescente, e rivedi le domande sbagliate per capire quali aree di conoscenza vanno migliorate.

– Never give up! A causa di diverse interruzioni durante i primi due slot di domande e di alcune risposte che hanno richiesto qualche ragionamento in più del previsto, mi sono ritrovato all’ultimo slot con soli 55 min. a disposizione (rispetto ai circa 76 min in media). Ho continuato ugualmente provando ad accelerare con l’obiettivo di non lasciare nessuna domanda senza risposta…risultato: Above the Target in tutti i domini.

Di Riccardo Ciocci

 

La Sprint Retrospective, così come ogni evento Scrum, ha come fine ultimo il creare valore per chi vi partecipa.

Dopo aver capito l’importanza del why rispetto al what nel precedente articolo, i miei sforzi si sono concentrati al capire quale valore portare alla retrospective.

È facile leggere la guida Scrum per apprendere che le attività devono stimolare i membri dello Scrum Team al confronto, portare tutti a condividere quella opinione in più che fuori dalla retro non avrebbero espresso.

Come già anticipato nello scorso articolo, il tool principale che utilizzo per le attività di retrospective, su consiglio della mia mentore Anna Di Girolamo, è Mural.

Questo tool aiuta moltissimo l’apertura del team in quanto molto interattivo e di facile comprensione.

Ma come strutturare le attività da portare in fase di Retrospective?

In mio soccorso è arrivato una richiesta, quasi uno scherzo, che i Developers hanno chiesto ad Anna prima del mio arrivo:

“Anna, ma il nuovo Scrum Master ci fa giocare?”

Lì ho capito in che ambiente mi stavo inserendo e quale fosse il primo valore che dovevo dargli: la Retrospective non doveva essere una rottura.

La Retrospective non doveva essere una riunione ripetitiva dove forzatamente il team è obbligato a farsi le stesse tre domande nella stessa forma: Cosa è andato bene nello scorso Sprint? Cosa è andato male? Cosa facciamo per migliorare?

Fermo restando che queste sono le domande principali che ci si pone nella Retrospective, la principale innovazione che ho portato è stato il tone of voice di queste attività.

Dalla prima board per la Retrospective ho creato delle metafore per le attività strutturandole su un unico tema.

Quali temi? Ovviamente i più leggeri e divertenti. Dalle ricorrenze (Restrospective di Halloween, Natale, Capodanno, …), ai temi più disparati (Black Friday, Sanremo, banda di rapinatori, …) cercando sempre di trovare qualcosa di coerente a discorsi/eventi che accadono durante lo Sprint in corso.

Sulle attività si costruiscono metafore che siano coerenti con il tema proposto, seguendo preferibilmente uno storytelling.

Tutto questo per rendere le ore di Retrospective divertenti, creando un clima distensivo all’interno del team dopo la Sprint Review attraverso il gioco.

Cosa ha portato tutto questo? Lo vedremo nel prossimo articolo, dove vedremo esempi di attività e alcune reazioni dello Scrum Team.

Di Riccardo Ciocci

 

Trasparenza, ispezione e adattamento, questi sono i tre pilastri su cui si basa l’intero framework Scrum.

Gli Scrum Masters li studiano fin dalla prima certificazione, agli albori del loro percorso, ma assimilare questi concetti per riuscire a muovere i primi passi come parte di uno Scrum Team è un processo tutt’altro che banale.

Nel mio caso il passaggio dalla certificazione SMAC a Scrum Master di un team che lavora da remoto è stato breve ed improvviso. Ero affascinato dal framework ma ero pieno di domande che non trovavano risposta sulla Scrum Guide.

Naturale dunque che al mio primo task, la progettazione di una Sprint Retrospective, tante sono state le riflessioni che ho riportato alla mia mentore, nonché collega, Anna Di Girolamo:

– Cosa faccio per stimolare il confronto tra i membri del team senza chiederlo direttamente?

– Cosa propongo come attività per creare condivisione?

– Cosa devo ottenere dalla retrospective?

– Questa cosa va bene? Avrà questo effetto o quest’altro?

Queste le domande che mi ponevo. Cercavo indicazioni da Anna (Scrum Master del team ad interim prima del mio arrivo), in modo da poter ottenere soluzioni pronte da attuare.

A queste domande (come a tutte le domande che faccio tuttora) lei mi ha sempre detto:

“Risponditi prima tu.”

Se a primo impatto pensavo fosse un esercizio per verificare le mie conoscenze, dopo poco tempo ho capito il perché di questo feedback.

La Retrospective è in mia opinione l’evento di massima espressione dello Scrum Master, in quanto unico evento progettato e condotto da questo ruolo per il team. Questo è stato il momento in cui ho davvero compreso cosa vogliono dire i tre pilastri di Scrum. 

Non esistono regole del gioco al di fuori della (volutamente) scarna Scrum Guide. Tutto è basato su: cerco cosa hanno fatto gli altri, faccio qualcosa, verifico i risultati, adatto la prossima attività in base ai risultati. In una parola: empirismo.

Il secondo step è stato capire che non dovevo riuscire a trovare le risposte alle mie domande (a,b,c,d) ma riformulare le mie riflessioni, cambiare il focus.

Le mie domande hanno una parola in comune: cosa. 

Ero alla ricerca del cosa, volevo costruire materialmente la board delle attività, ma mi mancava una riflessione fondamentale a monte: il perchè.

Proponevo cose senza capire il perché volessi farle, senza avere chiaro quale valore volevo generare, quale valore stavo perseguendo io e quale invece volevo dare al team.

Ragionare sul why di ciò che si fa è alla base non solo delle attività dello Scrum Master o del Product Owner, ma è il primo motore che deve muovere tutte le pratiche fatte in Agile.

In conclusione, alle mie domande ci sono indicazioni utili per rendere più interattive le retrospective: io ad esempio consiglio Mural come piattaforma per organizzare le attività, o FunRetrospectives per avere spunti sulle best activities, ma a nulla servono se ciò non genera valore.

E allora come hai generato valore al team con la retrospective?

Questo lo vedremo nel prossimo articolo.

 

Quali possono essere i consigli e i trucchi per la Certificazione PMP? Ce lo raccontano Adelaide Germani e Carlo Conti che hanno conseguito la Certificazione tra febbraio e marzo 2022 dopo aver frequentato il nostro corso.

 

ADELAIDE

 

Quanto tempo hai studiato prima di sostenere l’esame per la Certificazione?

Ho cominciato a studiare in maniera strutturata ad inizio gennaio per poter sostenere l’esame il 26 febbraio. Tuttavia, durante il corso, ho cercato di approfondire i temi via via trattati leggendo il pmbok 6 e le slide fornite con il corso.

 

Come hai svolto la tua preparazione tra corso e studio personale?

Ho cercato di legare le slide e i temi trattati durante e di collocarli in uno schema teorico che ho costruito mentalmente sin dall’inizio del percorso. Quindi ho seguito i suggerimenti dei trainer, leggendo dapprima tutto il pmbok 6, e quindi riassumendo capitolo per capitolo. Successivamente ho approfondito la guida agile e il pmbok 7 e iniziato a fare dei test di autoverifica, utili ad approfondire temi su cui non ritenevo di essere sufficientemente preparata.

 

Quanto è importante frequentare il corso?

Fondamentale. Lo studio mnemonico o i concetti meramente teorici non sono stati oggetto delle domande d’esame che definirei situazionali e di ragionamento. Il corso ci ha fornito numerosi momenti di riflessione ed analisi, di applicazione pratica del project management, elementi che hanno orientato il mindset, a mio avviso, e mi hanno aiutata ad affrontare le domande dell’esame.

 

Hai studiato individualmente o in gruppo?

Successivamente al termine del corso ho studiato individualmente per ragioni organizzative e di predisposizione personale allo studio.

 

Come hai studiato sul PMBOK? Quali sezioni hai trovato più utili?

Ho scelto di preparare l’esame esclusivamente in lingua inglese. Ho letto e quindi riassunto in mappe concettuali ciascun capitolo del pmbok 6. Ho trovato tutte le sezioni utili, comprese gli schemi e le parti in appendice, sia del pmbok 6 che del 7 e della guida agile.

 

Hai ampliato la preparazione con altre letture?

Ho avuto modo di leggere Agile People di Thoren.

 

Quanto è stato utile l’utilizzo del simulatore? Come funziona e quali sono le domande?

Ho utilizzato diversi simulatori, non solo quello condiviso durante il corso. Credo che i simulatori siano tra i migliori trucchi per la Certificazione PMP, perché molto utili per la preparazione, soprattutto in merito alla gestione del tempo e dello stress; sono, forse, ancora poco allineati alla tipologia di domande che poi ho trovato in sede di esame.

 

Ti sei esercitato in qualche altro modo?

Appunto utilizzando diversi simulatori presenti nel web.

 

Dopo quanto tempo, hai deciso di prenotare l’esame?

Ho deciso di sostenere l’esame entro il mese di febbraio 22 già a metà del corso (dicembre 21). 15 giorni dopo la fine del corso ho prenotato per l’esame fissato quindi al 26 febbraio.

 

Com’è andato l’esame e come si svolge? Hai avuto difficoltà con l’inglese?

Ho sostenuto l’esame in inglese evitando l’opzione della lingua italiana, scelta fatta per non avere distrazioni nello switch tra le due lingue. Le domande in inglese sono formulate in maniera semplice, vocabolario allineato ai testi ufficiali, oggetto di studio in lingua inglese. Prima dell’esame in modalità da remoto, ho effettuato il check in seguendo delle linee guida e quindi accettando la registrazione del mio viso che sarebbe stato inquadrato sino al termine del test. Un referente si è presentato e mi ha fornito alcune ulteriori istruzioni, prima di iniziare la verifica. L’esame si compone di 180 domande da completare in 230 min. Si possono fleggare le domande su cui si è insicuri per poterle rivedere prima di ciascuna pausa, al completamento di gruppi da 60 domande. Completate infatti 60 domande, il sistema sospende lo scorrere del tempo e delle domande, da’ la possibilità non ripetibile di rivedere quanto fatto sino a quel momento utilizzando il tempo a disposizione e quindi propone l’opzione di freezare il tempo per 10 min di pausa. Consigliabile almeno sfruttare qualche minuto di tempo per distrarsi e ritrovare la concentrazione utile ad affrontare le successive 60 domande. Ho usato tutto il tempo a disposizione, suddiviso tra completamento e review delle domande.

Ho superato l’esame al primo tentativo, con risultato “Above Target” su tutti gli item. Il report del risultato è arrivato qualche ora dopo la conclusione del test.

 

Riassumendo, quali consigli indispensabili daresti a chi deve affrontare l’esame e quali sono i trucchi per ottenere la Certificazione PMP?

Organizzare il proprio percorso di studi seguendo i consigli dei trainer ma adeguandoli al proprio approccio allo studio. Fare sin da subito scelte sulla lingua, le tempistiche e i testi di studio. Preparare un calendario e una lista di task, programmando lo studio e i test di autovalutazione. Adottare tecniche di gestione del tempo e soprattutto delle emozioni che inevitabilmente caratterizzeranno gli ultimi giorni di studio e la prima parte dell’esame.

Non lasciarti prendere dal panico!

 

 

CARLO

 

Quanto tempo hai studiato prima di sostenere l’esame per la Certificazione?

Circa un paio di mesi, almeno 120 ore.

 

Come hai svolto la tua preparazione tra corso e studio personale?

Seguivo le lezioni, leggevo i testi e gli approfondimenti dopo la lezione, alla fine ho riguardato le registrazioni e mi sono rifatto gli appunti anche con gli approfondimenti, successivamente ho fatto tutti i test più volte e le simulazioni un paio di volte.

 

Quanto è importante frequentare il corso?

Fondamentale.

 

Hai studiato individualmente o in gruppo?

Quasi esclusivamente da solo, solo una sessione in gruppo.

 

Come hai studiato sul PMBOK? Quali sezioni hai trovato più utili?

L’ho studiato cercando di seguire gli argomenti del corso. Alla fine, l’ho poi riletto tutto in modo lineare.

 

Hai ampliato la preparazione con altre letture?

Si quelle che mi sono state proposte al corso.

 

Quanto è stato utile l’utilizzo del simulatore? Come funziona e quali sono le domande?

Il simulatore è fondamentale. Anche solo per testarsi sul tempo che è davvero sfidante. Le domande forse sono un po’ diverse rispetto all’esame.

 

Ti sei esercitato in qualche altro modo?

No.

 

Dopo quanto tempo, hai deciso di prenotare l’esame?

Dopo circa tre settimane.

 

Com’è andato l’esame e come si svolge? Hai avuto difficoltà con l’inglese?

Sono andato in un centro specializzato riconosciuto. È molto dura stare nei tempi con così tante domande. Devi concentrarti molto e isolarti completamente. Per me è stato molto importante interrompersi per fare le due pause. Ho fatto l’esame in italiano per essere più rapido nella lettura delle domande che spesso sono molto lunghe, ma a volte per non cadere in errore a causa della traduzione troppo letterale andavo a vedere la domanda in inglese (è molto semplice e veloce visualizzare la domanda originale).

 

Riassumendo, quali consigli indispensabili daresti a chi deve affrontare l’esame e quali sono i trucchi per ottenere la Certificazione PMP?

Seguire attentamente le indicazioni date al corso sugli argomenti fondamentali e sul modo di ragionare, leggere testi e approfondimenti costruendosi lo schema dei processi per i diversi approcci, fare tantissimi test e simulazioni per allenarsi sia al modo di ragionare per rispondere sia alla velocità necessaria.

 

Adelaide e Carlo hanno messo a disposizione le loro esperienze per aiutare chi ha bisogno di consigli per affrontare la preparazione per la Certificazione PMP, ma se hai ancora dubbi, contattaci pure. I nostri coach ti forniranno una consulenza gratuita per darti tutte le informazioni di cui hai bisogno.